ICA E ANTIBIOTICO RESISTENZA

L’OMS definisce l’antibiotico-resistenza: «Un problema tanto grave da minacciare le conquiste della medicina moderna. Un’era post-antibiotica – in cui infezioni
comuni e ferite minori possono uccidere – lungi dall’essere una fantasia apocalittica, è invece una possibilità molto reale per il 21° secolo».
[OMS, ANTIMICROBIAL RESISTANCE: global report on surveillance, 2014]

Lo studio “The fallacies of hope: willwe discover newantibiotics to combat pathogenic bacteria in time?” condotto nel 2006, ha stimato che oltre la metà delle
ICA acquisite ogni anno in Europa sono resistenti ai farmaci: questo riduce drasticamente la possibilità di un trattamento efficace di queste infezioni.

Ogni anno in Europa le Infezioni Correlate all’Assistenza:

Questi dati sono estremamente sottostimati

L’OMS denuncia come le ICA comportino:

… una degenza ospedaliera prolungata, una disabilità a lungo termine, una maggiore resistenza dei microrganismi agli antimicrobici,
un enorme onere finanziario aggiuntivo per i sistemi sanitari, costi elevati per i pazienti e le loro famiglie e un eccesso di morti […]

Sebbene stime globali delle ICA non siano ancora disponibili, integrando i dati degli studi pubblicati, vi è una chiara evidenza
che centinaia di milioni di pazienti sono affetti ogni anno in tutto il mondo da queste infezioni.
[OMS, Report on the Burden of Endemic Health Care-Associated Infection Worldwide]

Infezioni del sito chirurgico

Le ISC (Infezioni del Sito Chirurgico), ossia della ferita chirurgica, rappresentano una delle principali infezioni correlate all’assistenza sanitaria. L’OMS segnala che le ISC sono la tipologia di ICA più frequente nei Paesi a basso e medio reddito (dove un terzo dei pazienti che subiscono un intervento chirurgico rischiano di contrarre un’infezione) mentre nei Paesi ad alto reddito (Europa e negli Stati Uniti d’America) rappresentano il secondo tipo di ICA in termini di frequenza.

OMS, Global Guidelines for the Prevention of Surgical Site Infection, 2016, p. 21
[https://apps.who.int/iris/handle/10665/250680].

Infatti, se da un lato l’evoluzione nel campo della Chirurgia, nel controllo delle infezioni e nella profilassi antimicrobica hanno permesso miglioramenti significativi, dall’altro l’incremento delle procedure chirurgiche e, in particolare modo quelle invasive, l’aumento di interventi su pazienti in età avanzata e con patologie concomitanti, il ricorso sempre più frequente a materiale protesico e l’insorgenza di ceppi microbici resistenti agli antibiotici hanno portato a nuovi rischi infettivi.

Le ISC comportano:

• Un prolungamento significativo delle giornate di assistenza ospedaliera e a una maggiore possibilità di degenza in unità di Terapia intensiva;
• Il rischio di ulteriori procedure chirurgiche e a riammissioni ospedaliere;
• Un aumento della morbilità e della mortalità;
• Costi più elevati per il paziente (sia dal punto di vista finanziario che della qualità di vita), per il sistema sanitario (costi di cura e degenza aggiuntivi, risarcimenti) e per la comunità (risorse sanitarie aggiuntive, diminuzione delle tasse pagate, calo del PIL etc.).

In accordo con le definizioni abitualmente utilizzate in Europa e negli USA, le ISC sono classificate in tre categorie:

l’infezione si verifica entro 30 giorni dall’operazione e coinvolge solo la pelle e il tessuto sottocutaneo dell’incisione e il paziente presenta almeno uno dei seguenti segni o sintomi:

  • Secrezione purulenta dall’incisione superficiale (con o senza conferma di laboratorio);
  • Isolamento di un microrganismo da colture, prelevate in modo asettico, di fluidi o tessuti dell’area di incisione;
  • Almeno uno dei seguenti segni e sintomi di infezione: dolore o indolenzimento; gonfiore localizzato; tumefazione localizzata; arrossamento; calore, e riapertura intenzionale della ferita ad opera del chirurgo a meno che la coltura dell’incisione sia negativa;
  • Diagnosi di infezione superficiale del sito chirurgico da parte del chirurgo o del medico curante.

l’infezione si manifesta entro 30 giorni dalla data dell’intervento in assenza di impianto protesico o entro 90 giorni in presenza di impianto protesico,[1] e l’infezione sembra essere correlata all’intervento e coinvolge i tessuti molli profondi (ad es. muscoli) limitrofi all’incisione e il paziente ha almeno uno dei seguenti segni o sintomi:

  • Secrezione purulenta a partenza dall’incisione profonda ma non dalla componente organo/spazio del sito chirurgico;
  • Incisione profonda spontaneamente deiscente o intenzionalmente aperta dal chirurgo (con o senza conferma del laboratorio), quando il paziente presenta almeno uno dei seguenti segni o sintomi: febbre (>38° C), dolore e/o tensione localizzata, a meno che la coltura del sito sia negativa;
  • Presenza di ascesso o di altre evidenze di infezione osservate all’esame diretto, durante un re-intervento, o attraverso esami radiologici o istopatologici;
  • Diagnosi di ISS profonda della ferita formulata dal chirurgo o dal medico curante.

Secondo la definizione della National Nosocomial Infection Surveillance, con “impianto protesico” si intende un corpo estraneo impiantabile di derivazione non umana (ad es.valvola cardiaca, innesto vascolare non umano, cuore meccanico o protesi d’anca) che viene inserito in modo permanente in un paziente durante un intervento chirurgico. Vengono considerati impianti protesici anche fili, viti, placche e reti lasciate permanentemente nel corpo, mentre le suture non assorbibili e i fili sternali non sono considerati impianti protesici.

Rispetto alla versione 1.02, rilasciata nel 2012, il periodo di follow-up per le SSI profonde e di organo/spazio in presenza di un impianto protesico è stato ridotto da un anno a 90 giorni;

Secondo la definizione della National Nosocomial Infection Surveillance, con “impianto protesico” si intende un corpo estraneo impiantabile di derivazione non umana (ad es.valvola cardiaca, innesto vascolare non umano, cuore meccanico o protesi d’anca) che viene inserito in modo permanente in un paziente durante un intervento chirurgico. Vengono considerati impianti protesici anche fili, viti, placche e reti lasciate permanentemente nel corpo, mentre le suture non assorbibili e i fili sternali non sono considerati impianti protesici.

 

1. Rispetto alla versione 1.02, rilasciata nel 2012, il periodo di follow-up per le SSI profonde e di organo/spazio in presenza di un impianto protesico è stato ridotto da un anno a 90 giorni;

l’infezione si manifesta entro 30 giorni dalla data dell’intervento in assenza di impianto protesico o entro 90 giorni in presenza di impianto protesico,  e l’infezione sembra essere correlata all’intervento e coinvolge un qualsiasi distretto anatomico (organo o spazio), che sia stato inciso o manipolato durante l’intervento e il paziente presenta almeno uno dei seguenti segni o sintomi:

  • Secrezione purulenta da un tubo di drenaggio posizionato all’interno di un organo o spazio;
  • Isolamento di microrganismi da colture ottenute in modo asettico da fluidi o tessuti provenienti o appartenenti a organi o spazi;
  • Presenza di ascesso o di altre evidenze di infezione osservate all’esame diretto, durante il reintervento o mediante esame istopatologico o radiologico;
  • Diagnosi di SSI organo/spazio fatta da un chirurgo o da un medico curante.

 

ICA e disciplina di ricovero

Il rischio ICA varia significativamente in funzione della disciplina di ricovero. A livello italiano si registra una variazione che va dal 1,25% del reparto di Psichiatria al 22,9% della Terapia intensiva. Lo studio condotto dall’Università di Torino, evidenzia come:

La riabilitazione sembra associarsi ad un rischio ICA aumentato di quasi 3 volte rispetto agli altri reparti […] a parità di fattori di rischio, come pure per le Lungodegenze […] e per la geriatria […]. Interessante notare che i reparti chirurgici mostrano un rischio aumentato […] nonostante l’aggiustamento per il tipo di chirurgia e per gli eventuali dispositivi invasivi. La Terapia intensiva, invece, sembra avere solo un modesto incremento di rischio, una volta considerata la situazione clinica del paziente e i dispositivi invasivi.

Università degli Studi di Torino, Studio di prevalenza italiano sulle Infezioni correlate all’assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti  (protocollo ECDC), luglio 2018

[http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2791_allegato.pdf].

A livello europeo, lo studio Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals 2011–2012, specifica come:

La prevalenza di ICA era più alta tra i pazienti ricoverati in Terapia intensiva, dove il 19,5% dei pazienti aveva contratto almeno una ICA, rispetto a una media del 5,2% di tutte le altre discipline di ricovero combinate. I pazienti di terapia intensiva rappresentavano il 5,0% della popolazione ospedaliera totale, ma il 16,5% di tutti i pazienti con una ICA. […]

I tipi di ICA più comuni in Terapia intensiva sono le infezioni respiratorie (polmonite e infezioni del tratto respiratorio inferiore) e le infezioni del flusso sanguigno. Le infezioni del tratto urinario prevalgono in Geriatria, mentre le infezioni del sito chirurgico sono le più frequenti in Chirurgia, Ostetricia e Ginecologia.

Tra i pazienti pediatrici, la sepsi clinica costituiva un segmento importante di ICA.

ECDC, Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals 2011–2012, Op. cit., p. 46.

l’infezione si manifesta entro 30 giorni dalla data dell’intervento in assenza di impianto protesico o entro 90 giorni in presenza di impianto protesico,  e l’infezione sembra essere correlata all’intervento e coinvolge un qualsiasi distretto anatomico (organo o spazio), che sia stato inciso o manipolato durante l’intervento e il paziente presenta almeno uno dei seguenti segni o sintomi:

  • Secrezione purulenta da un tubo di drenaggio posizionato all’interno di un organo o spazio;
  • Isolamento di microrganismi da colture ottenute in modo asettico da fluidi o tessuti provenienti o appartenenti a organi o spazi;
  • Presenza di ascesso o di altre evidenze di infezione osservate all’esame diretto, durante il reintervento o mediante esame istopatologico o radiologico;
  • Diagnosi di SSI organo/spazio fatta da un chirurgo o da un medico curante.

 

ICA e Dispositivi invasivi

La presenza di dispositivi invasivi (catetere venoso periferico – CVP; catetere venoso centrale – CVC; catetere unitario; intubazione) rappresenta un fattore di rischio significativo in termini di morbilità e mortalità correlate alle ICA.

Comunemente utilizzati nel trattamento di pazienti acuti e cronici, i dispositivi invasivi rappresentano strumenti indispensabili della pratica medica quotidiana, ai quali si associa tuttavia  un rischio di complicanze infettive, tanto locali quanto sistemiche, il cui aggravamento può condurre a sepsi grave e morte.

Secondo il Report on the Burden of Endemic Health Care-Associated Infection Worldwide dell’OMS (2011), la mortalità in eccesso nei pazienti adulti è pari al:

  • 18,5% nelle Infezioni del tratto urinario correlate a catetere (CR-UTI: Catheter-Related Urinary Tract Infection);
  • 23,6% nelle Infezioni del flusso sanguigno correlate al catetere (CR-BSI: Catheter-Related BloodStream Infection);
  • 29,3% nelle Infezioni associate al ventilatore (VAP: Ventilator-Associated Pneumonia);

OMS, Report on the Burden of Endemic Health Care-Associated Infection Worldwide, 2011

[http://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/80135/9789241501507_eng.pdf;jsessionid=7D79F78E6301F9B48345864054B9DAAA?sequence=1].

In Italia, secondo il report dell’Università di Torino, la percentuale delle ICA in presenza di un dispositivo invasivo varia:

  • Da 7,13% nei pazienti non intubati a 32,5% in quelli intubati;
  • Da 5,31% nei pazienti senza catetere vascolare centrale a 23,4% dei pazienti con CVC (Catetere Vascolare Centrale);
  • Pressoché invariata (da 7,9% a 8%) nei pazienti senza e con CVP (Catetere Vascolare Periferico);
  • Da 5,03% nei pazienti senza catetere urinario a 15,1% in quelli cateterizzati;

Università degli Studi di Torino, Studio di prevalenza italiano sulle Infezioni correlate all’assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti  (protocollo ECDC), luglio 2018

[http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2791_allegato.pdf].

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